Red Hot Chili Peppers: Flea, la dipendenza dalla droga e la rinascita
Flea, bassista dei Red Hot Chili Peppers, ha scritto di suo pugno un articolo per il "Times" dal titolo "The Temptation of Drugs Is a Bitch". In esso racconta delle sue dipendenze e di come sia riuscito a venirne fuori. Non è stato facile, non lo è tuttora.
Il musicista australiano, che i più attenti ricorderanno anche interprete di piccoli ruoli nel secondo e terzo episodio della saga "Ritorno al futuro", ha detto basta alla droga e agli antidolorifici. Decisivi, in questo processo di ristrutturazione personale, i suoi affetti e la perdita di alcuni compagni di viaggio: "Ho visto morire tre dei miei migliori amici prima che festeggiassero il loro ventiseiesimo compleanno, e io stesso ci sono andato vicino più di una volta. Diventare padre, però, è stata una rivelazione: ho capito che dovevo prendermi cura di me stesso e, nel 1993, a 30 anni, ho finalmente accettato che la droga stava distruggendo la mia forza vitale. Ho smesso per sempre. La tentazione, però, è una vera stronza".
Pulito da 25 anni. Eppure, a vederlo sul palco con i capelli sempre di un colore diverso, gli occhi spiritati e l'energia di un plotone di marines, viene quasi naturale pensare che sia sempre strafatto. E invece è stata proprio la fine della dipendenza a restituirgli quella forza che sembrava andare via. Adesso il nemico si chiama tentazione: "Posso meditare, fare esercizio, pregare, andare dallo psicologo, lavorare con pazienza e umiltà a tutti i problemi delle mie relazioni; oppure posso beccare uno spacciatore, comprare 50 dollari di roba e risolvere tutti i miei problemi in un minuto. Ho imparato a essere grato per tutto il mio dolore. E questo modo di ragionare mi ha aiutato a sopravvivere al pericolo di ricascarci".
Anche gli antidolorifici sono stati per certi versi deleteri nella vita di Flea, che avanza anche delle ombre su come il sistema sanitario americano favorisca la dipendenza da certi farmaci: "Alcuni anni fa mi sono rotto un braccio facendo snowboard. Ho dovuto sottopormi a un'operazione importante. Il dottore mi ha rimesso in sesto alla perfezione ed è solo grazie a lui che posso ancora suonare il basso con tutto me stesso. Allo stesso tempo, però, mi ha prescritto abbastanza ossicodone (tipo morfina) per due mesi. La confezione diceva di prendere quattro pillole al giorno. Ero sempre strafatto. Le medicine non solo annullavano il mio dolore fisico, ma anche tutte le mie emozioni. Ne prendevo solo una, ma non riuscivo comunque ad essere presente per i miei figli, il mio spirito creativo era sparito e mi sentivo depresso. Ho smesso dopo un mese, ma non avrei avuto nessuna difficoltà a farmene prescrivere ancora. Ci sono casi, è ovvio, in cui gli antidolorifici sono necessari. Ma il medico dovrebbe essere più accorto. È altrettanto ovvio che ogni prescrizione del genere andrebbe accompagnata da un lavoro di monitoraggio, da una strada di riabilitazione per chiunque dovesse diventare dipendente. Le grandi aziende farmaceutiche potrebbero pagare per tutto investendo una piccola parte dei loro profitti".
Temistocle Marasco
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